Il collettivo nasce dal bisogno di alcune donne di creare una rete di relazioni di vicinanza e collaborazione che permetta ad ognuna di riflettere sulla situazione personale ma anche generale della condizione femminile. La sede è condivisa con la Comune:Socialismo Rivoluzionario, si trova in via Principe di Belmonte, al numero civico 47, di fronte Piazza Ignazio Florio, a Palermo. Vienici a trovare.
sabato 20 ottobre 2012
Lettera aperta a Carmela, a Lucia, a tutte le donne
Venerdì mattina Carmela è stata uccisa nel tentativo di difendere la vita di sua sorella Lucia dall'aggressione dell'ex fidanzato.
Siamo con Lucia e Carmela, che conosciamo attraverso i racconti delle loro persone care.
Siamo con tutte le donne che scelgono di decidere della propria vita e per questo subiscono violenze, purtroppo quotidianamente, com'è successo a loro.
Il dolore è grande per tutte e può bloccarci, ma facendoci forza possiamo reagire.
Dipende da noi.
Rifiutiamo le relazioni che ci fanno soffrire e scegliamo di avere accanto le persone che ci amano veramente.
Vogliamo esserci per tutte le donne, vogliamo imparare a sceglierci e sentirci sorelle ogni giorno, nelle case, nelle strade, nelle scuole, a lavoro...
Da sempre e in particolare adesso sentiamo la necessità di costruire una rete di dialogo, vicinanza e autodifesa.
Pensiamo al coraggio di Carmela e Lucia, può essere il nostro!
Vogliamo che non succeda più, che nessun uomo dovrà più fare del male a una nostra sorella.
Con tutte noi stesse.
Palermo, 19/10/2012
lunedì 2 aprile 2012
Dipende da noi donne. I atto
Si asciuga le mani con il panno appeso, si dilunga, ogni dito merita cura, poi fa scivolare l’indice sul calendario, schiaccia il 21 marzo, si volta, me lo indica battendoci l’unghia, mi avvicino e faccio risalire il suo indice fermandolo sul 3.
”Nò do se pranverë arrin më parë ?” (”Nonna, che ne diresti di anticipare la primavera?”)
L’assemblea nazionale Dipende da noi donne, che si è svolta a Roma sabato 3 marzo, ha accolto un’urgente reazione unitaria che si è rivelata rigenerante come l’aria primaverile.
È successo questo: un gruppo di donne, in varie parti d’Italia (partendo da Genova, passando per Firenze, Roma, Ferrara, Napoli, Palermo) nei mesi scorsi, ha preso in mano la situazione.
Ha preso per mano non solo le passanti ma le vicine, le fornaie, le fioraie, le fruttivendole, porgendo loro un appello.
Partiamo da noi? Ha chiesto, ha prestato orecchio a quelle che ”dipende dalla politica, mica da noi’,’ a quelle che ”il femminismo è morto”, a quelle che hanno storto il naso e la bocca sentendo il termine sorellanza.
Un abbruttimento facciale incredulo che non ha trovato terreno fertile al pub dei F.lli Di Noto di Piana degli Albanesi.
Sedute in un tavolino che contava quattro posti ci siamo trovate riunite in sette.
La cosa straordinaria è che una giovanissima donna, Anna, che non aveva voce fisicamente a causa di un’operazione subita alle corde vocali è stata quella che grazie al suo taccuino ha lanciato motivi di riflessione importantissimi.
Indimenticabili le dissertazioni sull’identità dirompente di Sophia Loren fatte da Claudia, i volantinaggi di Paola e Angela che hanno trovato applausi imprevisti da simpatiche vecchiette.
Quando mi sono trovata nel cerchio formato dalle cinquanta sorelle partecipanti-protagoniste dell’appello, ho pensato ad un’aiuola.
Donne sbocciate, donne ancora gemme, donne diverse per età, per esperienza, accomunate dallo sguardo chiaro sulla realtà, dal panorama sognante di un cambiamento possibile.
Ci si è concentrate su quello che si è, sul bi(sogno) che ha ognuna di noi, sulle relazioni costruite con le altre donne che giovano, hanno giovato e migliorato ogni ambito della vita e continuano a farlo.
Siamo partite dal bene che ognuna rappresenta per l’altra immediatamente.
Non si può fare altro, me ne convinco ogni giorno di più, di fronte alle Marinelle gettate nei fiumi, leggendo il bollettino di guerra.
Dipende da noi donne sfondare la stanzetta carceraria che ci hanno costruito intorno, che abbiamo abbellito, di cui ci siamo accontentate.
Dipende da noi aprire la porta, dichiarare nullo il contratto che ci vuole in un modo anzichè in un altro.
Dipende da noi ricordare e ricordarci cosa siamo state, chi siamo, cosa vogliamo diventare attraverso il mutuo sostegno.
Dipende da noi intervenire sul processo educativo, ripensare il concetto di cura in maniera indipendente, senza obblighi e sensi di colpa.
Dipende da noi ripartire, manifestare/ci (ri)trovare la forza in se stesse e nelle altre.
Dipende da noi fermare il degrado, il femminicidio perpetrato giorno per giorno.
Dipende da noi continuare a far funzionare i centri antiviolenza, realizzare percorsi di prevenzione, di autodifesa.
Dipende da noi riorganizzare un cammino autoemancipatorio personale, psicologico, culturale e sociale.
È necessario continuare a diffondere l’appello, possibilmente vis-à-vis , che ne pensano le nostre lettrici?
Pubblicato originariamente su Die Brucke.
”Nò do se pranverë arrin më parë ?” (”Nonna, che ne diresti di anticipare la primavera?”)
L’assemblea nazionale Dipende da noi donne, che si è svolta a Roma sabato 3 marzo, ha accolto un’urgente reazione unitaria che si è rivelata rigenerante come l’aria primaverile.
È successo questo: un gruppo di donne, in varie parti d’Italia (partendo da Genova, passando per Firenze, Roma, Ferrara, Napoli, Palermo) nei mesi scorsi, ha preso in mano la situazione.
Ha preso per mano non solo le passanti ma le vicine, le fornaie, le fioraie, le fruttivendole, porgendo loro un appello.
Partiamo da noi? Ha chiesto, ha prestato orecchio a quelle che ”dipende dalla politica, mica da noi’,’ a quelle che ”il femminismo è morto”, a quelle che hanno storto il naso e la bocca sentendo il termine sorellanza.
Un abbruttimento facciale incredulo che non ha trovato terreno fertile al pub dei F.lli Di Noto di Piana degli Albanesi.
Sedute in un tavolino che contava quattro posti ci siamo trovate riunite in sette.
La cosa straordinaria è che una giovanissima donna, Anna, che non aveva voce fisicamente a causa di un’operazione subita alle corde vocali è stata quella che grazie al suo taccuino ha lanciato motivi di riflessione importantissimi.
Indimenticabili le dissertazioni sull’identità dirompente di Sophia Loren fatte da Claudia, i volantinaggi di Paola e Angela che hanno trovato applausi imprevisti da simpatiche vecchiette.
Quando mi sono trovata nel cerchio formato dalle cinquanta sorelle partecipanti-protagoniste dell’appello, ho pensato ad un’aiuola.
Donne sbocciate, donne ancora gemme, donne diverse per età, per esperienza, accomunate dallo sguardo chiaro sulla realtà, dal panorama sognante di un cambiamento possibile.
Ci si è concentrate su quello che si è, sul bi(sogno) che ha ognuna di noi, sulle relazioni costruite con le altre donne che giovano, hanno giovato e migliorato ogni ambito della vita e continuano a farlo.
Siamo partite dal bene che ognuna rappresenta per l’altra immediatamente.
Non si può fare altro, me ne convinco ogni giorno di più, di fronte alle Marinelle gettate nei fiumi, leggendo il bollettino di guerra.
Dipende da noi donne sfondare la stanzetta carceraria che ci hanno costruito intorno, che abbiamo abbellito, di cui ci siamo accontentate.
Dipende da noi aprire la porta, dichiarare nullo il contratto che ci vuole in un modo anzichè in un altro.
Dipende da noi ricordare e ricordarci cosa siamo state, chi siamo, cosa vogliamo diventare attraverso il mutuo sostegno.
Dipende da noi intervenire sul processo educativo, ripensare il concetto di cura in maniera indipendente, senza obblighi e sensi di colpa.
Dipende da noi ripartire, manifestare/ci (ri)trovare la forza in se stesse e nelle altre.
Dipende da noi fermare il degrado, il femminicidio perpetrato giorno per giorno.
Dipende da noi continuare a far funzionare i centri antiviolenza, realizzare percorsi di prevenzione, di autodifesa.
Dipende da noi riorganizzare un cammino autoemancipatorio personale, psicologico, culturale e sociale.
È necessario continuare a diffondere l’appello, possibilmente vis-à-vis , che ne pensano le nostre lettrici?
Pubblicato originariamente su Die Brucke.
lunedì 12 marzo 2012
Il documentario- "Madri"
Il dolore e’ universale, parla la stessa lingua in tutte le nazioni del mondo.
Ho incontrato le madri di due popoli separati da un muro fisico e mentale ma resi fratelli dallo stesso dolore.
Sono entrata nelle case che un tempo erano luoghi di vita e gioia in cui oggi rimbomba lo straziante vuoto di camerette cristallizzate in un ordine innaturale e di zaini che nessuno porterà più a scuola.
Ho cercato di lasciare spazio alle parole, non volevo interviste, volevo che le protagoniste raccontassero alla macchina da presa il loro sentimento e la loro disperazione, senza imbrigliarle in uno storyboard troppo riduttivo. Il progetto del film era di starle ad ascoltare. Girare in digitale permette di accendere la telecamera e quasi dimenticarsene, c’è il tempo per conoscersi e se si è onesti si riceve molto.
Ogni pianificazione e modello organizzativo tradizionale qui risulta inadeguato. Ho girato il film accompagnata soltanto dalla mia organizzatrice. Le difficoltà pratiche negli spostamenti in territorio occupato, il dover lavorare a causa di ciò con tre troupe diverse in un’area grande poco più del Lazio, e gli estenuanti controlli ai checkpoint, fino ad arrivare all’arresto del mio operatore palestinese, mi hanno portato inizialmente a voler fare di queste difficoltà un elemento rilevante del film. Durante il montaggio ho deciso invece di non togliere spazio a quei racconti che ancora oggi a distanza di mesi conservano la stessa tragica forza della prima volta che li ho ascoltati.
Barbara Cupisti, la regista.
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